Carmen Gasparotto
Iuncturae
Geografia e storie. Le trasmissioni su "Radio Judrio"
di Carmen Gasparotto
A che luoghi apparteniamo? Nascere in una grande città o lungo la sponda di un fiume, essere nati al sud, dentro la luce abbacinante del bianco color calce e di cieli azzurri sempre sgombri, oppure in uno di quei piccoli villaggi di frontiera lungo la linea del confine nord orientale, l'odore di legna umida che impregna l'aria sottile del mattino, sono possibilità che ci fanno pensare come la geografia possa decidere. Come la geografia determini in anticipo chi siamo e chi saremo, tratteggi un carattere, offra opportunità o, altre volte, lavori per sottrazione. Ma quando un luogo si immagina appartenente solo alla geografia, allora la storia avanza le proprie istanze, talvolta pretende di manometterlo.
Siamo nell'alta Valle del Judrio dove il fiume, incassato tra le montagne, per un lungo tratto fa da confine tra Italia e Slovenia, fino al 1991 Repubblica Federale di Jugoslavia. È in questa terra di frontiera, la Benečija o Slavia Veneta che trovano ambientazione i racconti di "Radio Judrio – vivere dentro la frontiera" ultima opera narrativa di Barbara Pascoli (Kappa Vu Edizioni) che si arricchisce delle fotografie di Massimo Crivellari, fotografo professionista che con i suoi scatti indaga magnificamente l'interazione fra uomo e ambiente.
È qui che gli elementi dell'ambiente naturale giocano un ruolo decisamente importante nella rappresentazione collettiva dei luoghi di frontiera contribuendo a mettere in discussione gli stessi confini politici.
"Dov'è il segno del confine? Non l'ho mica visto (…) Non c'è nessun segno, aveva spiegato Sergio. La sponda di là è Jugoslavia, basta non avvicinarsi troppo".
I paesi della valle del Judrio, ideale punto d'incontro tra il mondo latino e quello balcanico, sono luoghi di grande ricchezza paesaggistica e culturale. La loro collocazione, però, come avviene in altre aree remote soprattutto montane in giro per l'Italia, sembra condannarli allo spopolamento. È proprio nel piccolo villaggio di Oborza, la frazione più popolata del comune di Prepotto – un condominio diffuso di quasi due dozzine di abitanti che in estate diventano cinquanta – che l'autrice con il marito decide di trasferirsi dal centro popolato della pianura, ma intrappolato tra tangenziali e centri commerciali. Una specie di percorso inverso, un atto rivoluzionario che li sottrae al dominio della velocità in una sorta di equilibrio tra umano e natura. Una scelta di resilienza – non senza qualche sconsideratezza – che si scontra con la precaria connessione a internet, la mancanza della copertura telefonica, l'immancabile frana che blocca l'unica via di accesso al paese dopo giorni di piogge intense.
"Come sempre facevano in quei frangenti, i paesani si spostavano solo per necessità e gli uomini avevano caricato la motosega in macchina, pronti a liberare la strada dagli alberi caduti. I Nuovi Arrivati, invece, continuarono a comportarsi come avrebbero fatto in città, uscendo in automobile di giorno e di notte".
Negli sperduti paesi dove ci si può chiamare da una costa all'altra della valle, ma dove a farne le spese sono le piccole comunità, dove non trovi un negozio di alimentari, un bar, una farmacia se non a venti chilometri di distanza, forse servirebbe una mappa dei bisogni redatta dagli stessi abitanti e qualche imprenditore anarchico che sappia "adoperare la natura con rispetto", come disse Mario Rigoni Stern.
"Anche con il bar non era stato fortunato: era riuscito a tener duro per una ventina d'anni, poi, tra tasse e norme, era stato costretto a chiudere (…) Franco aveva tirato a campare rifornendo le trattorie della zona di cacciagione e funghi. Al sabato pomeriggio, però, riapriva il bar, ma solo per gli amici". Un bar privato, un luogo dove continuare a essere comunità, per non perdersi. Per resistere.
Storie, quelle di "Radio Judrio", che avrebbero potuto prendere facilmente la piega amara della nostalgia: Barbara Pascoli, invece, bilancia magistralmente ogni malinconia con il disincanto – e talvolta con l'ironia – che appartiene a chi sa intrattenere lo stesso rapporto lucido sia con il reale che con l'impossibile attraverso una scrittura priva di fronde che fa scivolare con facilità nelle pieghe del narrato.
Geniale l'ultimo capitolo del libro dal titolo "Lampi". Una sorta di luce che illumina la vita dei protagonisti proprio come l'oggetto luminoso visto sopra il monte Korada. Un "com'è andata a finire" tra realtà e desiderio, che sa farsi speranza o accettazione proprio come la parola "desiderio" porta nel suo etimo: la dimensione dell'attesa, l'orizzonte aperto e stellare, la mancanza che sospinge alla ricerca. L'avvertimento positivo.Inserisci qui il tuo testo...